Responding to change over following a plan

Ricordiamoci prima di tutto una possibile definizione di agilità nel mondo del business, ovvero “la capacità di un team, di un’azienda, di adattarsi rapidamente al cambiamento del mercato“, da non confondere con la resilienza, che invece in qualche modo necessità che si cada, per poi rialzarsi meglio di prima. L’agilità, nel business, comporta un atteggiamento mentale di continua ricerca, ascolto e adattamento al contesto che, teoricamente, ti consente di non cadere mai.

Come lo sviluppo software, come altre attività che si svolgono in contesti molto variabili e poco prevedibili, anche il marketing ha bisogno di agilità, per poter rispondere al cambiamento del contesto in maniera rapida, efficace e con pochi sprechi. Come dicono gli agilisti anglofoni “turn on a dime for a dime”. Come recita uno dei valori del manifesto agile “Responding to change over following a plan”.

Siamo convinti che un piano marketing di qualche mese possa essere messo in atto senza un controllo costante sull’efficacia di una campagna? Siamo convinti che i “key selling point” che abbiamo evidenziato al lancio di un prodotto siano quelli corretti e più adatti ad un mese di distanza dal lancio? Abbiamo dei momenti costanti di revisione delle campagne in corso che ci consentano di fare “inspect and adapt” in caso di bisogno?

Dobbiamo ammettere che il marketing in generale ha una sua agilità di fondo che è naturale: ad un programmatore o al suo PM non è facile spiegare che il suo tempo “costa” mentre è più normale per una persona di marketing chiedersi se una campagna sia efficace e se i soldi che sta investendo sono spesi bene. Per questo si controllano più naturalmente i numeri e i KPI e si cerca di adattarsi in modo da migliorare il ritorno sull’investimento. Tuttavia a volte il marketing lavora con pianificazioni di lungo respiro: budget annuali, campagne trimestrali o semestrali, accordi con fornitori o agenzie su base annuale. Vediamo alcuni spunti per rendere il marketing ancora più agile di quello che è normalmente.

Iterazione

Uno dei principi cardine dell’agilità è il pensiero iterativo, ovvero la capacità di concepire qualsiasi attività e il suo prodotto finale come il risultato di tanti brevi momenti circolari e di “lavoro-ascolto-adattamento”, con lo scopo di uscire da ogni iterazione (una settimana, 15 giorni, un mese) con dei risultati concreti e un piano di lavoro futuro più adatto al contesto di quel momento, in termini di priorità, di mercato, di cliente. Si può applicare il concetto dell’iterazione al marketing?

Il Marketing Plan può essere agile?

Una volta che un’azienda ha definito la sua strategia per lanciare un prodotto o una nuova iniziativa, il Marketing Plan è l’insieme delle attività che il team marketing metterà in atto per promuovere o distribuire il prodotto sul mercato ed è, insieme al documento strategico di comunicazione, il biglietto da visita del team di marketing verso il CMO e verso l’azienda relativamente a quel prodotto o a quel progetto.

Vediamo alcuni spunti su come alcuni elementi di un Marketing Plan possano essere approcciati in maniera iterativa e agile.

Analisi di mercato, benchmark

Molto spesso succede che le campagne abbiano come punto di partenza un’analisi di mercato o un’indagine sui clienti, per verificare alcune ipotesi che saranno punti cardine della campagna. Se l’analisi conferma le ipotesi, la campagna parte come previsto. Ma che succede se il mercato cambia e le ipotesi fatte non sono più vere?

Immaginiamo ad esempio che si voglia promuovere un prodotto con la convinzione di avere il rapporto qualità/prezzo migliore sul mercato perché si è condotta una ricerca che ci conferma questi dati. Si struttura tutta la campagna con il concept del miglior prezzo, si parte su tutti i canali, ma dopo alcune settimane ci si rende conto che le vendite non crescono più come prima, semplicemente perché è entrato un competitor che, magari in risposta alla nostra campagna, ha attivato un prodotto migliore del nostro.

L’ideale sarebbe quindi avere uno strumento che “ri-verifica” l’ipotesi dell’inizio in maniera continua, ad ogni iterazione. Ma non così facile se non si entra nel giusto mindset. Si devono cercare e preferire soluzioni tecniche o anche organizzative che consentano al marketing di avere dati sempre “freschi” e aggiornati, per consentirgli di verificare continuamente, in questo caso, gli assunti di base della campagna. Siamo in grado ogni settimana di verificare l’assunto “abbiamo il miglior rapporto qualità/prezzo del mercato?”

Campagne e budget

Normalmente il budget è richiesto dalla direzione e dal CMO e non è facile convincere la direzione che “si fanno i budget ogni mese”, soprattutto perché l’azienda ha bisogno di prevedere i costi anno per anno. Tuttavia questo non significa che ci si debba abbandonare alle spese pianificate senza fare opportuna iterazione sull’efficacia degli investimenti che si stanno facendo. Anche l’azienda sarà ben felice se, nel bel mezzo di una campagna, si decide di riallocare il budget previsto su altre campagne o su altri canali, perché il processo di iterazione sui risultati ci ha portato a dire (ad esempio) che un canale su cui si stava investendo non risulta efficace come sperato. In questo caso il controllo iterativo dell’efficacia dell’investimento è fondamentale, ma non banale, perché richiede di attivare dei KPI facilmente fruibili riguardo al ritorno di una campagna.

Prendiamo l’esempio di un’attività di marketing di alcuni mesi alla fine dei quali si produce un’analisi per capire se l’investimento ha portato frutti. Di solito il tempo richiesto dall’analisi è proporzionale alla durata della campagna e quest’analisi può richiedere anche settimane di tempo. A chi lavora con lo sviluppo, questo non ricorda la famigerata “fase di test” dopo lo sviluppo e prima della produzione?

Se siamo d’accordo sul principio di iterazione applicato al budget e alla spesa marketing, come possiamo dividere i 3 mesi di campagna in 12 iterazioni di una settimana ciascuna e fare un’analisi alla fine della settimana per valutare di cambiare strategia, canali o tipi di contenuti? Sicuramente in questo caso si deve prediligere il KPI fruibile on-demand alla classica raccolta manuale: fare il primo setup sarà difficile, ma con buona probabilità tornerà comodo per tutte le altre campagne.

Accade quindi che invece di avere 3 mesi di campagna e 15 giorni di analisi, avremo 12 cicli di una settimana, con un giorno alla settimana di revisione dei dati: il tempo speso sulle attività è lo stesso, ma avremo la possibilità dopo qualsiasi settimana di riadattare la spesa per migliorarne l’efficacia.

Qualcuno potrebbe argomentare che questo modo di lavorare è contro il concetto di leadership, di vision. In realtà vanno molto d’accordo. La vision definire dove si deve tendere, dove si vuol arrivare. Sappiamo però che il percorso per arrivare, nel mercato in cui siamo, non è definibile a priori. Perché allora ci ostiniamo ad avere strategie semestrali invece che “piccole strategie” iterative per raggiungere comunque l’obiettivo della vision?

Ascolto dei clienti

Probabilmente la capacità più importante di un team di marketing è quella di saper ascoltare il cliente e veicolare il messaggio dal cliente all’interno dell’azienda, secondo il principio del “Bring Outside In”.

Questo processo molto spesso si concretizza in analisi non ricorrenti, momenti di indagine occasionali e funzionali ad un secondo scopo, tipo una campagna o il lancio di un nuovo prodotto.

Il cliente tuttavia parla continuamente, in vari modi, su vari canali, a volte anche stando in silenzio: esprime pareri sul brand, sui suoi prodotti e i pareri cambiano durante la sua vita, in base alle funzionalità che utilizza, alla sua profondità di utilizzo o anche in base a fattori esterni come l’arrivo di un nuovo competitor che cambia l’aspettativa media del cliente sul quel tipo di prodotto.

Insomma: non instaurare un ascolto costante è un errore che un team di marketing non può permettersi, perché su quello si può basare il successo o meno di un prodotto e la durata di un’azienda sul mercato.

L’ascolto iterativo e continuo è probabilmente una delle attività più sfidanti ma anche di più grande soddisfazione per un team di marketing. Quali strumenti possono aiutare ad ascoltare il cliente in maniera iterativa?

Come anche per altri argomenti, l’automazione fa da padrona. Scordiamoci la raccolta manuale dei dati che, una volta completata, rischia di darci una foto “vecchia” di qualche giorno, settimana, mese e quindi non più utilizzabile. Servono invece strumenti che in maniera automatica e continua raccolgano dati sul sentimento e sull’umore dell’utente, magari mantenendo traccia del singolo utente, come ad esempio survey alla chiusura di un ticket o sui clienti in uscita, indagini “dopo un anno di vita” per definire le business personas, oppure inviate in automatico alla fine o durante una promozione (“è interessante questa promozione? No? dimmi perché”). L’importante è impostare un sistema che in automatico si assicuri di raccogliere dati continuamente, dati che poi possano essere fruiti in qualsiasi momento si desideri e che misurino il sentimento dei clienti nei vari momenti della loro vita con il brand. In questo caso

Con lo stesso principio di automazione è possibile “ascoltare” il cliente fuori dal contesto del prodotto, quando parla del brand nelle community a tema o sui social network, con strumenti di sentiment analysis che stanno diventando sempre più noti.

E’ evidente quindi che stiamo parlando di BigData da una parte e di Artificial Intelligence dall’altra. Il marketing può fare a meno di questi strumenti?

Team cross-funzionali

Il marketing di solito lavora a silos, anche internamente. Lo sviluppo ha già fatto questo cambio di paradigma, convito dall’enorme energia del movimento Agile nel mondo, ma il resto dell’azienda fa normalmente fatica a farlo. Non smetterò mai di dire quanto i team cross-funzionali siano probabilmente la più grande “innovazione” portata a tutti dal pensiero Agile.

Per team cross-funzionale si intende un team (con tutto quello che si intende) nel quale le persone hanno skill diversi, specialità diverse e dove l’insieme di questi skill è utile a completare il 100%, o comunque la maggior parte, del lavoro che si deve portare a casa.

Nel caso del marketing per esempio, un team cross-funzionale potrebbe includere un copywriter, un visual designer, un UX designer, una persona che si occupa di SEO, una che lavora sul performance marketing, ecc…

Il vantaggi sono molti. Ne elenco alcuni:

  • contaminazione: quando diverse professionalità lavorano insieme si auto-contaminano e insegnano in maniera diretta e indiretta il proprio mestiere agli altri, facendo crescere gli skill di tutto il team
  • comunicazione: avete mai provato a comunicare fra silos? che ve lo dico a fare… un tizio ha detto “le chiamano ‘divisioni’ e si lamentano che non comunicano”. La soluzione ai problemi di comunicazione fra team è creare una struttura in cui non c’è bisogno di parlarsi fra team: tutte gli skill sono nel team, che vive insieme e parla naturalmente durante la giornata
  • velocità di delivery: avete provato a tracciare la “Value Stream Map” di un progetto a silos? Quando un team lavora insieme con più skill non dipende da altri team o silos, che per loro natura hanno la loro pianificazione di attività. Le dipendenze vengono ridotte o azzerate e il “lead time” dell’attività si riduce drasticamente
  • efficacia: riducendo si le dipendenze, riducendosi i problemi di comunicazione, si iniziano volentieri anche quelle attività complesse che “ci passa la voglia di iniziare” in un’organizzazione a silos, perché “tanto si bloccherà al team A o al team B”.

HIPPO vs Auto-organizzazione e dati

Uno dei principi del Manifesto Agile recita “Le architetture, i requisiti e la progettazione migliori emergono da team che si auto-organizzano”.

In Scrum la divisione netta e chiara di ruoli fra Product Owner e Development Team è fondamentale e ormai nello sviluppo software è diventata una cosa nota: non tutti la applicano, qualcuno ci si avvicina, ma comunque è riconosciuto come un buon paradigma e, dove ben applicata, consente di lavorare con risultati eccellenti.

Nel mondo del marketing si trovano spesso organizzazioni nella quale vince sempre la “HIPPO“, ovvero la “HIghest Paid Person Opinion“: ma se abbiamo detto che i dati sono così importanti per dirigere le campagne, lo devono essere anche per confermare o smentire le varie ipotesi ed opinioni, senza il peso del job title.

I vantaggi di team che si auto-organizzano sono molti:

  • risparmio di tempo: quanto tempo si investe in attività di micro management, assegnazione di task, incontri di allineamento, ecc…? il management costa tempo e la divisione di ruoli ne fa risparmiare molto;
  • qualità: quante volte dei team producono lavori di bassa qualità e si giustificano con “il mio capo mi ha detto di lavorare così”? Dato che il “sapere” risiede nel team, il team stesso riesce ad organizzarsi per realizzare l’attività richiesta nel miglior modo, con il miglior processo, con il miglior risultato;
  • un team con la “T” maiuscola: siamo sicuri che possiamo chiamare “team” un gruppo di persone gestite una ad una dal manager? Il rapporto 1-to-1 finisce sempre per tarpare le ali alla “risorsa”, che naturalmente si ritrova a dar ragione al capo e alla fine smette di pensare, mentre un gruppo di persone che si auto-organizza diventa un piccolo ecosistema, con le proprie dinamiche, con le proprie interazioni che portano a utilissime sinergie, senza pregiudizi e job title;
  • soddisfazione: chi sarebbe soddisfatto di raggiungere un risultato seguendo passo passo i dettami del proprio capo? un team che insieme si prende il commitment su un obiettivo, decide come raggiungerlo e conquista i risultati attesi sentirà quei risultati come frutto del suo lavoro e delle sue scelte.

Se è vero che i team che si auto-organizzano portano risultati migliori e lavorano meglio, perché non applicare questo concetto agli ambienti di marketing? Anche il marketing potrebbe lavorare sulla creazione di un team nel quale il CMO o comunque il team leader lavorano sulla definizione delle priorità, come fa un Product Owner, mentre il team, centro della competenza marketing, si auto-organizza per raggiungere gli obiettivi e i risultati che il team leader o il CMO richiedono.

In poche parole:

  • il team leader o CMO si occupa di definire “cosa fare”: imposta gli obiettivi strategici in linea con la strategia aziendale, li chiarisce al team e da quella deriva le attività principali da svolgere, partecipa in maniera importante alla definizione della strategia di comunicazione del suo prodotto, definisce gli obiettivi di campagna in termini di risultati attesi ed è il primo che ha a cuore il parere dei suoi clienti e dei suoi stakeholder (interni ed esterni);
  • il team di marketing si occupa di “come fare”: in base alle priorità e agli obiettivi impostati dal CMO, si auto-organizza e decide come raggiungere i risultati attesi, proponendo un budget di spesa e le modalità di investimento, porta avanti le attività operative di campagna, analizza i risultati continuamente (i dati hanno più ragione delle opinioni) e li condivide con il CMO.

Conclusione

Di spunti ce ne sarebbero molti altri, soprattutto per le pratiche agili come Sprint, Retrospettive (già, la retrospettiva, quando è importante…) o per il ruolo dello Scrum Master.

Se volete approfondire l’argomento Lean/Agile nel Marketing, vi consiglio di leggere “Lean Agile Marketing” di Femi Olajiga che mi è stato di enorme ispirazione per scrivere questo post.